Silver | Romics

Silver

Romics d’Oro della VI edizione

Enrico la Talpa abita nella fattoria McKenzie, luogo immaginario creato da Guido Silvestri, in arte Silver, all’inizio degli anni ’70. Luogo immaginario per la sua natura grafica, certo, ma anche per l’ambigua sospensione tra il desiderio americano (che troviamo nella aspirazione agli universi antropomorfi di Walt Disney e Walt Kelly) e la persistenza di un’identità nazionale addensata intorno a nomi come Alberto, Marta, Alcide, Alfredo… quasi un ritorno “malinconico” ai panorami bassopadani in b/n di Guareschi e Duvivier.. Forse Enrico non è il personaggio più noto della serie silveriana, oscurato com’è dalle coreografie mitiche del menage a tre fra Lupo Alberto, la gallina Marta e il canpastore Mosé (che diventa quasi un’orgia nel momento in cui entra in gioco l’opinione pubblica della piccola e perversa comunità…), ma certo è quello che eredita lo spirito di un certo cinema nazionale, della commedia italiana alla Dino Risi, dei “mostri” nazional-popolari che si trasformano negli anni per non cambiare la loro vocazione all’asservimento verso i poteri costituiti. In ciò, il miope Enrico si rivela una maschera perfetta delle trasformazioni che hanno avuto luogo da quando, nel febbraio del 1974, la striscia di Silver appare su “Il Corriere dei Ragazzi” e comincia la sua ascesa nel mondo del fumetto italiano.. Silver era allora un giovanissimo comic-maker cresciuto a bottega del suo grande concittadino, Franco Fortunato Gilberto Augusto Bonvicini, in arte Bonvi, da cui aveva appreso il gusto della creatività “dissennata” ma anche la necessità della disciplina, un mix che rende possibile affrontare la produzione seriale dei comics. E Silver diventa Silver, cioè uno degli autori di maggior successo del nostro fumetto da oltre trent’anni, proprio perché è tra i pochi a risolvere, in Italia, la questione nodale della serialità. Silver, cioè, riesce a inventare un dispositivo narrativo originale e capace di rinnovarsi nel tempo, creando un rapporto duraturo e gratificante con il proprio pubblico. Non è un caso che Lupo Alberto sia stato il testimonial dell’unica campagna d’informazione italiana sull’AIDS destinata ai giovani. Silver lavora anche moltissimo sul linguaggio: c’è ritmo negli scambi e nei dialoghi, c’è rispetto per un rapporto equilibrato tra immagini e testo. La sporca vita di Cattivik, mostriciattolo metropolitano che pur volendo non riesce a nuocere se non a se stesso, è accompagnata da un eloquio altrettanto sporco. Cattivik non chiude con la giusta vocale i sostantivi, esclama senza ritegno , pasticcia coi verbi e produce suoni disarticolati. Ciò non impedisce affatto la comunicazione, ma la sposta verso una deriva demenziale dove il non senso e l’inettitudine del mostro creano intorno a lui la simpatia permanente del lettore. Quasi una forma di solidarietà. Rimane da segnalare una particolarità narrativa di Silver, che lo accomuna ad alcuni altri story-teller a fumetti, tra cui Bonvi. I mondi creati da Silver nascono già cresciuti e strutturati, già maturi per ogni peripezia della sceneggiatura. Sono sempre piaciuti molto ai giovanissimi, eppure piacciono anche ai più smaliziati tra i lettori adulti. Il segreto è una vena acida nella narrazione, una sostanza corrosiva che viene sciolta nell’inchiostro del lettering provocando danni cospicui all’idea di una realtà fiabesca e comunitaria che vivrebbe nelle utopie narrative per ragazzi. Niente affatto, i rapporti sono spesso fregature, le soluzioni proposte spesso deliranti, spesso c’è chi profitta della situazione e schiaccia gli altri. Dove il disincanto riesce a modellarsi sulle morbidezze di un mondo pensato per ragazzi che sanno guardare con la giusta ferocia il mondo degli adulti.